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calitri

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Campo delle Madonnelle
Centro storico

 È uno dei paesi di frontiera della provincia di Avellino e della Regione Campania, confinante a sud est con la Basilicata e non molto distante dal confine con la Puglia. Oltre alla bellezza del suo centro storico e della varietà monumentale degli edifici in esso presente, forse, uno degli aspetti più intimi del paese è rappresentato dal suo dialetto “il Calitrano”, un unicum in provincia di Avellino per termini e fonetica. Il nome di Calitri risale al toponimo etrusco Aletriom, il che indurrebbe a pensare a insediamenti etruschi in Alta Irpinia. L’influenza greca e la dominazione romana trasformerà il toponimo in Aletrion e Aletrium (Plinio il Vecchio cita la colonia degli Aletrini nell’elenco delle popolazioni irpine), fino a diventare Calletrum e Calitri a partire dal Medioevo. Al tramonto dell’impero Romano, la storia di Calitri segue le sorti del vasto feudo di Conza (l’antica Compsa), fino a passare sotto il dominio longobardo, normanno e svevo. In epoca longobarda-normanna avviene la costruzione del castello, posto a guardia della frontiera del gastaldato, ma è durante il regno di Federico II che fu potenziato nelle strutture difensive come da suo programma di miglioramento dell’edilizia fortificata in Italia meridionale. Nel breve periodo angioino risultava essere uno dei quaranta castelli del Principato di Benevento. Nel 1304, Calitri passò alla famiglia Gesualdo, principi di Venosa, che ampliarono e ristrutturarono il fortilizio, trasformandolo in in una suntuosa residenza signorile. Nel 1540 a Calitri nacque Alfonso Gesualdo, cardinale decano del Sacro Collegio e arcivescovo di Napoli dal 1597 al 1603. Nel 1561 un terremoto danneggiò il grande edificio e solo nel 1613 si ebbero consistenti lavori di ristrutturazione. Nel 1637 il castello era definito “fabrica degna per il Principe” e nel 1688 Donatantonio Castellano lo descriveva composto da oltre trecento stanze che vi possono stare comodamente da cinque Corti di Signori ben munito di due ponti a levatoio, con bellissimi bastioni, atteso detto castello sta sopra un monte, e guarnito di tutte comodità, et altro tanto la terra è tutta murata con quattro porte, che si rende assai sicura”. Notevole la biblioteca, con manoscritti, alcuni dei quali miniati, ma anche opere a stampa; vi si trovavano autori classici latini (Cicerone, Ovidio), scrittori italiani del Trecento (Boccaccio), poeti come Dante, Petrarca e Sannazzaro e diversi libri religiosi. Nel XVII sec., il feudo passò ai Ludovisi, i quali lo cedettero nel 1676 ai Mirelli, feudatari fino al 1806. Nel 1694, un disastroso terremoto, che seguiva quelli del 1688 e 1692, distrusse completamente il castello, uccidendo gran parte della famiglia Mirelli e della sua corte, che abbandonarono il sito e costruendosi un palazzo più a valle. L’area dove sorgeva il castello subì diverse modifiche, fino a diventare un nuovo e vivace quartiere, abitato fino al 1980, quando i dissesti e i crolli conseguenti al terremoto hanno portato al definitivo abbandono della parte alta del centro storico. Calitri è stata definita dal Touring Club Italiano la Positano d’Irpinia ed è tra le Città Italiana della Ceramica.

cairano

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Teatro Odeon intitolato a Franco Dragone

La posizione strategica di Cairano, al centro della naturale via di comunicazione tra la valle dell’Ofanto e quella del fiume Sele che unisce il litorale adriatico a quello tirrenico, ha favorito l’insediamento umano già dalla prima età del Ferro. A testimonianza il ritrovamento di un insediamento e una necropoli con tombe a fossa rinvenute in località Calvario – Vignale, considerate le più antiche di questo tipo in Campania. Si tratta di reperti unici che portarono gli studiosi a coniare la denominazione di Fossakultur Cultura di Cairano – Oliveto Citra (dal termine tedesco, che indica appunto le tombe a fossa). Nelle tombe a fossa vennero rinvenute delle spille (fibulae) a occhiali o munite di arco a staffa, elmi di bronzo, vasi di terracotta, coltelli ricurvi e rasoi tutti o gran parte custoditi nel Museo irpino di Avellino. Tali reperti archeologici, dalla raffinata lavorazione, dimostrano che in Irpinia, tra il IX e il VII secolo a. C., vivevano popolazioni caratterizzate da un elevato livello di sviluppo, tanto da lavorare abilmente i metalli. Secondo alcuni il nome Cairano deriva dal termine Car-janus, monte di Giano, l’ipotesi più accreditata, però, è che Cairano prima si chiamasse Castellum Carissanum, come risulta dalla Historia Naturalis (libro II C. 57) di Plinio il Vecchio pubblicata nel 77 d. C. È certo comunque che il paese fosse chiamato Cairano almeno dal 1500 perché questo è il nome sulle carte geografiche del Vaticano completate nel 1585. Cairano fu presidio militare a difesa di Conza, romana colonia, tanto agguerrita da meritarsi l’attenzione di Annibale. Sul cadere dell’Impero romano, nell’anno 555 d. C., Conza fu occupata dai Goti che si insediarono nel castello Carissano ma nella primavera dello stesso anno furono cacciati a seguito dell’assedio operato da Narsete, duce delle armi imperiali. Inoltre la partecipazione di Cairano alla spedizione in Terra Santa di Guglielmo II detto il Buono, con 6 cavalieri nobilitati con rito di onori militari, aventi al loro servizio uno o due scudieri ciascuno, evidenziano la considerazione acquisita nel tempo dal paese irpino. Nel medioevo con l’avvento del feudalesimo fino al 1679 Cairano funse da rocca del feudo di Conza. Nel 1676 divenne feudo proprio e rimase tale fino al 1837, quando il feudalesimo fu abolito. Il 23 novembre 1980 una forte scossa di terremoto di magnitudo 6,5 sulla scala Richter colpì duramente Cairano che subì ingenti danni ma per fortuna riportò solo qualche ferito e nessun morto. Dal secondo dopoguerra, Cairano, piccolo paese agricolo, ha subito un lento e progressivo processo di spopolamento causato anche dall’assenza di sviluppo che ha portato da i 1.410 abitanti del 1951 ai poco meno di 400 attuali.

bisaccia

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Castello Ducale
Anfiteatro

Il paese domina la valle del torrente Isca, affluente del fiume Calaggio. L’abitato è costituito da due parti distinte: il Centro Storico sorto attorno al Castello Medioevale e Bisaccia Nuova, costruita in seguito al terremoto del 1930 e a quello del 1980, che dista circa 1 Km dal centro storico e ha una struttura che risponde alle esigenze della vita moderna. La storia risale ai secoli passati, quando il castello era dimora di Federico II e Torquato Tasso, quest’ultimo ospitato da Giovan Battista Manso nel 1588, usato da Federico II per la caccia. Ma le sue origini sono del X secolo a.C. come testimoniano i reperti archeologici rinvenuti nel territorio. Il Castello Ducale sicuramente è la principale attrazione storica e culturale di Bisaccia. Davvero interessante dal punto di vista naturalistico, ambientalistico e faunistico è il territorio; la selvaggina abbonda e questo fa di Bisaccia una meta obbligata per i cacciatori. Il comune ha un vasto territorio destinato a colture agrarie, boschive, ortaggi (molto conosciuti gli asparagi), vigneti, oliveti e, soprattutto, a prati permanenti e pascoli; notevole è il patrimonio ovino e bovino. Un legame forte è presente tra prodotti e territorio. Tipica è la produzione dei latticini (provoloni, burro, scamorze e ricotta) e del pane croccante, cotto nei forni a legna. Un buon sviluppo hanno avuto le attività artigianali, quali la produzione manuale di arazzi di lana, cotone, lino e canapa, l’uncinetto, il ricamo ma anche la pietra, le ceramiche, e la lavorazione dell’argilla, che oggi sembra scomparsa, e le attività manifatturiere e commerciali. I piatti del territorio sono sapori autentici legati ad una gastronomia fatta di piatti robusti, con ingredienti di qualità radicati nella tradizione.

aquilonia

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Abbazia di San Vito
Parco Archeologico
Piazza Municipio

Carbonara-Aquilonia è un centro di origine sannita, come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici della zona. Nel V-IV sec. a.C. diversi villaggi (oppida e vici), più o meno grandi, erano diffusi su questo altopiano ofantino. Pastori ed agricoltori si insediarono in luoghi il più possibile inaccessibili alle incursioni di altri popoli vicini. I centri antichi dei Sanniti erano costituiti da ampi territori con un oppidum fortificato che sorgeva sulla cima della collina, entro le cui mura gli abitanti dei borghi sparsi si rifugiavano in caso di pericolo. Carbonara-Aquilonia – come gli altri centri limitrofi di Romulea (Bisaccia), Aletrium (Calitri), Akedunniad (Aquilonia), Cominium (Monteverde) – fu coinvolta nelle guerre contro Roma che nel IV sec. a.C. aveva cominciato la sua espansione verso l’Italia meridionale. Akedunniad, Aquilonia antica (oggi Lacedonia) era un importante centro fortificato. Il paese viveva di economia pastorale basata principalmente sullo sfruttamento degli erbaggi dei pascoli e dei boschi. Durante la seconda guerra sannitica Roma operò molte incursioni anche in questi territori, saccheggiando anche l’antico centro di Romulea (Bisaccia). Alcuni storici ritengono che la famosa e cruenta battaglia di Aquilonia combattuta tra romani e sanniti nel 293 a.C, e narrata dallo storico romano Livio (Ab Urbe condita libri, X, 38-40), a cui avrebbero partecipato sessantamila uomini, sia avvenuta nella vallata del torrente Calaggio, non lontano dal centro abitato. La costruzione delle strade consentì poi un rapido collegamento con le zone orami sottomesse e un più marcato controllo della regione da parte di Roma. Passavano per questo remoto angolo dell’Appennino, oltre l’antica via Appia, anche la via Erculia e la via Traiana, un’importante traversa della Via Appia tra Benevento e la Puglia. Aquilonia sopravvisse come municipio romano e visse la grande vicenda storica dell’Impero romano fino ai primi segni di decadenza tra il IV ed il V sec. dopo Cristo. L’alta valle dell’Ofanto era già in crisi come del resto tutta la Campania nel V sec. d.C. allorquando l’invasione dei Goti e la successiva guerra con i Bizantini segnarono un ulteriore battuta di arresto per la vita civile dei paesi ofantini. Cambiò l’assetto del territorio e la denominazione dei centri abitati. Carbonara, di cui non si hanno precise testimonianze per l’età antica, si arricchì di una rocca fortificata e divenne, insieme ai suoi casali, un centro militare a presidio della vallata dell’Osento e dell’Ofanto. Successivamente, al declinare della potenza dei Goti, si affermarono anche in questa regione le genti Longobarde, come in quasi tutta la Campania, la cui conquista fu avviata dal duca Zottone di Benevento. I Longobardi penetrarono nell’Alta Valle dell’Ofanto nel 591 d.C. ponendo a Conza, strappata ai Bizantini, la sede di un forte gastaldato che comprendeva tutto il comprensorio appenninico da San Fele a Teora, da Andretta a Carbonara-Aquilonia, che rappresentava il limite meridionale dell’espansione dei longobardi in Italia. Dopo la spartizione del ducato di Benevento tra Radelchi e Siconolfo nel 849, e la successiva nascita del Principato di Salerno, Carbonara come terra del gastaldato di Conza rimase a far parte del principato salernitano. I segni della presenza longobarda ad Aquilonia, mancando testimonianze monumentali evidenti, e non essendo ancora stata compiuta una seria indagine archeologica sul terriotrio, vanno cercati per ora soprattutto nella toponomastica locale. Tutto il territorio aquiloniese del versante ofantino (ma non solo) presenta toponimi chiaramente legati alla presenza longobarda: Siconolfo, Fontana Gambara, Fontana Senna, probabilmente il territorio di Groveggiante, le fosse granarie dette dei Morticelli, il Pesco di Rago (dal nome longobardo Rachis), il Monte Arcangelo, ed alcuni altri. A quest’epoca Carbonara si presenta come un piccolo castrum del territorio, forse anche non tanto importante rispetto ad altri casali che dovevano sorgere più a valle. Tali il casale di Pietrapalomba e di Sassano. Quest’ultimo menzionato in un diploma del 967 di un Pandolfo signore di Conza sarebbe stato da lui donato all’abbazia di Monticchio, ma non ci sono prove documentarie certe a riguardo. Una caratteristica della storia carbonarese è la costante propensione alla rivolta nel corso dei rivolgimenti politici decisivi. Nel 1078 Carbonara, con tutti i casali ofantini, si sollevò contro il duca Normanno. Questi precipitosamente si mosse a domare la rivolta e distrusse tutti i centri ribelli, compreso Carbonara e Pietrapalomba. E’ probabile che la prima distruzione del “castello” di cui non conosciamo nè la struttura nè le dimenzioni, sia avvenuta prorpio a quest’epoca. Del resto anche il castello vicino di

conza della campania

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Villa Comunale

Conza della Campania è un paese situato nell’cuore dell’Alta Irpinia. Siamo nella terra di confine tra Campania, Puglia e Basilicata, tra il versante tirrenico e adriatico, la terra degli Irpini, uno dei quattro touti sanniti, con Malies o Maloenton, rinominata poi dai Romani Beneventum, segnata dal corso del fiume Ofanto. Il fiume Ofanto che solca il suo territorio scandisce il tempo che passa ed oggi è caratterizzato da un’alta biodiversità, dalla presenza di salici, pioppi, canne, sambuchi, querce, olmi, e da un’enorme varietà di specie animali tra cui la lontra. Proprio grazie alla biodiversità della flora e della fauna e delle caratteristiche peculiari dell’ambiente umido e idrofilo che si è venuto a creare nei pressi dell’invaso di Conza è stata creata un area protetta del WWF. Conza ha origini antichissime, probabilmente gli Hirpini, di lingua osca, essendo cresciuti enormemente di numero, durante un Ver Sacrum, effettuarono la migrazione di giovani ed animali verso le parti più interne del territorio, in quanto quasi del tutto disabitate. Si trattava di un popolo guerriero, dedito al culto del Dio Marte (Ares), che si lasciò guidare da un animale sacro, il lupo, che funse da sorta di condottiero divino. Per la sua posizione Conza, sia nell’antichità, sia nel Medioevo fu una vera piazzaforte. Essa, infatti, posta a cavaliere dell’alta valle dell’Ofanto, era una vera fortezza naturale e, costituendo il nodo delle vie provenienti dall’Apulia, lungo l’Ofanto, dalla Lucania, lungo il Sele, e da Benevento, lungo il Calore, fu per gli Irpini, per i Romani e poi per i Goti e infine per i Longobardi un importante posto militare. L’abitato era strutturato intorno alla Cattedrale ed al sito del Castello. Fino al 1957 esistevano ancora resti dell’antico castello, edificato dai Longobardi a controllo della valle sottostante. I resti delle mura erano visibili per un circuito di oltre 800 m., rinforzate da bastioni e torri. Una di queste era ancora in piedi nella seconda metà del XIX secolo, utilizzata dagli abitanti come luogo di prevenzione di possibili atti di brigantaggio. Gli scavi condotti all’indomani del tragico evento sismico del 1980 hanno portato alla luce buona parte dell’organismo urbano di età romana. La parte sommitale della collina su cui si ergeva l’abitato ospitava certamente ospitare l’arce della città irpina di epoca sannitica, di cui restano, tuttavia, scarse tracce. Il rinvenimento di un pavimento a mosaico italico (sotterranei di Casa Scanzano) e di una notevole necropoli del VII secolo a.C. (località San Cataldo) fa supporre l’origine osca di COMPSA. La fase di urbanizzazione della città avviene, infatti, a partire dal I secolo a.C., quando la civitas diviene municipium. I Longobardi fortificarono la città arroccandosi nella parte alta e mutandone anche l’aspetto. Nell’area del foro e sui preesistenti edifici viene impiantata la chiesa cristiana. Nell’XI secolo, l’insediamento urbano raggiunse la configurazione medioevale che l’avrebbe caratterizzato nei secoli successivi, col borgo che cingeva il Castello e la Cattedale. In seguito alla distruzione del Borgo di Conza ed alla rimozione delle macerie dopo il sisma dell’80 e, subito dopo, alle intense campagne di scavo, è stato riportato alla luce un passato millenario, tutto narrato dalla straordinaria stratificazione del sito “Parco storico e archeologico COMPSA”, che ha dato un apporto notevole alla storia degli insediamenti della Campania interna. Attualmente è possibile leggere l’intero impianto stradale originario, fra i resti delle case abitate fino alla sera del sisma, degli orti e giardini ad esse annessi, ma anche fra i resti del foro romano, delle opus spicatum dell’anfiteatro, della facciata dell’edificio termale e della cattedrale. Ne deriva un contesto generale di grande impatto emotivo, oltre che di grande valore dal punto di vista ambientale e storico-testimoniale. Tutta l’area è dal punto di vista ambientale di grande rilievo dominando, con una vista a 360 gradi, la Sella di Conza, spartiacque tra il versante adriatico e tirrenico, la valle dell’Ofanto ed il lago di Conza.

sant'angelo dei lombardi

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Castello Imperiale

Sant’Angelo dei Lombardi è un bellissimo paese dell’Alta Irpinia situato in prossimità di uno sperone che insiste sulla linea spartiacque della dorsale appenninica. Esso, infatti, divide la valle d’Ansanto, solcata dal fiume Fredane, un affluente del Calore, ed il versante di sinistra della vallata dell’Ofanto nel suo tratto iniziale. Secondo le tesi di alcuni storici il nome del paese riflette il culto di San Michele Arcangelo a cui erano particolarmente devote, dopo la loro conversione al Cristianesimo, le popolazioni Longobarde. La tradizione storica ritiene che siano stati proprio questi popoli a dare origine al centro abitato durante l’Alto Medioevo. Le prime testimonianze – Secondo testimonianze storiche, il territorio di Sant’Angelo dei Lombardi si può ritenere abitato già prima dell’era volgare sia perché si trova a metà strada tra due località di grande importanza storica per l’intera regione, le antiche città di Compsa (Conza della Campania) e di Aeclanum (Mirabella Eclano), sia perché non sono pochi i reperti archeologici ed epigrafi rinvenuti nel territorio. Dovrebbe risalire alla seconda metà del IX secolo la costruzione del Castello di Sant’Angelo nonché dei vicini fortilizi di Torella, Monticchio e Guardia. Questi quattro castelli, infatti, furono edificati per motivi di difesa lungo la linea di confine del Gastaldato di Conza che faceva parte del Principato di Salerno. Sant’Angelo acquistò maggiore importanza durante il decennio napoleonico perché divenne capoluogo di uno dei tre circondari amministrativi in cui fu divisa la provincia di Avellino. Il Castello Longobardo, ai cui piedi si sviluppò il borgo medievale della città, sorge sul colle più alto e si distingue per la sua imponenza. L’impianto originario della fortezza risale alla prima metà del X secolo. Modificato in età normanno-sveva, il fortilizio subì ulteriori mutamenti che lo trasformarono in dimora gentilizia. Le trasformazioni più sostanziali furono volute dai Caracciolo nel XVI secolo e dal principe Placido Imperiale nel 1768. Nella facciata si distinguono il cinquecentesco portale d’ingresso ed un’importante epigrafe di epoca classica. Il Castello fu adibito nel 1862 a tribunale e carcere. Recentemente i locali del Castello, opportunamente ristrutturati, hanno ospitato gli uffici della magistratura e l’archivio notarile. A  pochi chilometri da Sant’Angelo dei Lombardi sorge l’Abbazia di San Guglielmo al Goleto. Fondata intorno al 1133 da un santo vercellese, Guglielmo, che si spense ivi nel 1142, era un monastero maschile e femminile che raggiunse il massimo del suo fulgore in epoca normanno-sveva ed all’inizio di quella angioina. La struttura primitiva comprendeva la chiesa, il monastero grande delle monache e quello più piccolo dei monaci. I monaci avevano il compito della guida spirituale e dell’assistenza economica delle monache, che vivevano in stretta clausura. Sotto la guida di celebri badesse, quali Febronia, Marina I e II, Agnese e Scolastica, la comunità crebbe e diventò famosa per la santità delle monache ed il monastero si arricchì di terreni e di opere d’arte. Il periodo d’oro abbraccia circa due secoli, poi dal 1348, vi fu una lenta inesorabile decadenza. Papa Giulio II, nel gennaio 1506, ne decretò la soppressione. Con la fine della comunità femminile goletana, il monastero fu unito a quello di Montevergine, che provvide ad assicurare la presenza di alcuni monaci. Iniziò così una lenta ripresa. Il periodo migliore fu tra la metà del Seicento e la metà del Settecento e culminò con il restauro completo del monastero e la costruzione della chiesa grande. Dal 1807 al 1973 il monastero restò abbandonato ma nonostante l’usura del tempo, il vandalismo degli uomini ed il susseguirsi dei terremoti, ancora oggi  rappresenta un luogo mistico, in cui il silenzio la pace e la tranquillità regnano sovrani. Passeggiare in questi luoghi, respirare l’aria della storia e farsi baciare dai raggi del sole rappresenta un’esperienza davvero indimenticabile.